Non ha convinto la fiction Rai La lunga notte- la caduta del Duce. Al racconto piatto e lento si sono affiancati tanti errori storici.
È terminata ieri sera con la messa in onda della terza e ultima puntata la fiction Rai La lunga notte- la caduta del Duce. Un racconto in 3 atti in cui si ripercorrono le settimane precedenti al rovesciamento di Mussolini e di conseguenza del regime.
La fiction Rai, che pure aveva la firma alla regia di Giacomo Campiotti, non ha convinto del tutto tanto che nella seconda puntata di martedì è stata superato in share dal Grande Fratello Vip, che non ha di certo brillato per grandi ascolti nell’arco di questi mesi. Il motivo è da ritrovare su più fronti: il racconto avviene in maniera effettivamente molto lenta, concentrandosi troppo sugli amori o presunti tali invece che sui fatti storici che pure contengono molti errori, finendo per rendere Mussolini, in maniera anche eccessiva, la vittima di una congiura inspiegabile. Infine il cast, non tutti purtroppo hanno convinto.
Per chiarirci, tutti gli adattamenti cinematografici o seriali che siano dei fatti storici trovano sempre una reinterpretazione -come hanno messo in evidenza gli errori storici nel Napoleon di Ridley Scott– e il motivo è molto semplice: la storia non attrae e quando si parla di un prodotto audiovisivo bisogna accattivare il pubblico.
Da qui agli eccessivi errori -dove per errori non si intende solo quelli delle pagine di storia- il passo però si fa breve. L’idea della serie, pensata anni fa ma arrivata solo oggi in Rai (e molti ironicamente hanno lanciato sul web un “chissà perché?!”), poteva anche essere buona. Raccontare di quella notte che in cui i gerarchi fascisti del Gran Consiglio liberano l’Italia dalla dittatura mussoliniana, il punto però è che il racconto è stato sprecato.
Mussolini finisce per essere vittima tradita, un bombolotto preso a schiaffi (metaforici) da Hitler e soprattutto totalmente succube di Claretta. Dino Grandi fu effettivamente l’uomo che portò al rovesciamento del Duce, certo difficile pensare (e lo confermano gli storici) che si sia convinto al volta faccia dopo l’uccisione del compagno d’armi da parte dell’Ovra. Così come non si sa di alcuna aggressione da parte della polizia segreta alla moglie dell’ex ministro di grazia e giustizia.
E poi gli amori; quello di Mussolini e Petacci, ma anche il rapporto malato dei Ciano -difficile dire chi picchiasse chi-, e la telenovelas tra la nipote di Grandi e il Niccolai rivoluzionario. A questo si aggiunge poi la rappresentazione sfacciatamente antifascista della Regina Maria José. Tutto diventa troppo e il centro storico si perde.
Fa pecca, in questa serie, anche la sceneggiatura. Già non brillantissima di scambi, cade su parole davvero molto semplici che difficilmente Grandi avrebbe potuto sbagliare. Il riferimento è alla scena in cui Grandi riceve il collare dell’Annunziata da Vittorio Emanuele e subito dopo si rivolge a lui con “Altezza”. Il sovrano va chiamato Maestà e difficilmente il politico, quello vero, ambasciatore per anni in Inghilterra potesse sbagliare in questo modo. Insomma, una vera occasione sprecata.
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