L’artista catanese ci presenta il suo ultimo album ”De visu”, in uscita lo scorso ottobre e dal quale è stato estratto l’omonimo singolo in radio.
Sergio Casabianca ci presenta la sua ultima fatica: un album jazz che coniuga brani romantici, introspettivi e dissacranti allo stesso tempo.
Un vero e proprio viaggio per chi lo ascolta dall’inizio alla fine senza interruzioni, grazie ad una varietà di stili ed emozioni diverse da percorrere.
I brani inediti che propone il chitarrista variano dal semplice al ricercato ed esaltano il suo talento consacratosi grazie agli studi in conservatorio.
Nella composizione di questi brani, Casabianca è accompagnato da altri due musicisti Riccardo Grosso al contrabbasso e Peppe Tringali alla batteria.
“De visu”, un brano che comprende diverse sonorità: com’è nata questa unione di musicalità di diversa natura?
De Visu nasce da un’idea compositiva iniziale che era forse troppo carica di swing, ma mi piaceva ugualmente. Il tema iniziale potrebbe ricondurre a riff post hard-bop molto diretti, quasi tipicamente da chitarrista jazz. Tuttavia, se fosse rimasto solo così, non sarei sicuramente stato contento di registrare il pezzo con quella struttura. Si susseguono, infatti, altre due grandi parti tematiche che passano dallo swing al tre quarti abbastanza moderno e serrato, quasi di stampo progressive. Fondamentalmente ho cercato di cucire idee che si rincorrevano nella mia testa per poi amalgamarle musicalmente ed utilizzare in seguito come “scenario” dei vari momenti improvvisativi dei tre strumenti. Inoltre il brano è indirettamente servito a conferire qualcosa in più alle trame compositive dell’intero disco, ed infatti per questo ne è diventato la title track.
“Sire”, invece, parla dell’amore che attraversa e supera il tempo. Che interpretazione dai a questo sentimento nella vita quotidiana?
Senza dubbio è molto importante nella vita di tutti i giorni. Che sia un amore umano, sentimentale tra due persone, o che sia un amore astratto per cose, concetti, ideali, speranze e sogni, se per un giorno ne sono privo, mi sento perduto.
Credere nella musica, in fondo, è forse un grande gesto di amore e fede verso se stessi, il prossimo e l’esistenza intera. Ovviamente, come si evince dal disco, cerco di bilanciare riflessioni di questo stampo, quasi dal tono solenne ed introspettivo, ad altre molto più rilassate e divertenti.
A cosa ti sei ispirato per realizzare questo tuo lavoro? E quali sono i progetti che lo seguiranno?
Avevo la necessità di dare forma e sostanza ad un disco che contenesse idee vecchie e nuove e cercare sia di indagare le possibilità del guitar trio che amo, sia mi aprisse la strada per lavori e collaborazioni future. L’ispirazione può essere stata sempre con me, con alti e bassi, nel momento in cui mi rendevo conto di aver creato strutture armoniche e temi che mi restavano in testa e che necessitavano di essere cristallizzati in una registrazione. Il resto del lavoro è stato di introspezione, anche se non troppo pesante e mai ossessiva, ma riflessiva e distesa, per capire cosa dovevo fare di quel sound e dove volevo arrivare. E sono piacevolmente arrivato ad un punto di partenza, ovvero questo disco, che mi soddisfa e che prepara il terreno per altri lavori futuri.
Non escludo di continuare a sfruttare il meraviglioso “laboratorio sonoro” del trio anche come sezione ritmica per cantanti e solisti, oltre ad essere la fucina di musica che è già da tempo nel cassetto ed altre composizioni che potrebbero manifestarsi in futuro prossimo.
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