Prima o poi, il termine “standard jazz” esce fuori, nelle varie discussioni musicali riguardanti la musica leggera: cosa significa?
Abbiamo parlato pochi giorni fa della definizione di “musica leggera”, così come la conosciamo oggi, e abbiamo accennato al fatto che, anche se paradossale, vista la complessità del jazz e del blues, questi due generi, un tempo, fossero considerati musica popolare, di bassa estrazione sociale. Blues e jazz, dunque, erano considerati, almeno fino agli anni ’60, musica “pop”, nel senso di popolare.
Erano in contrasto con la cosiddetta “musica colta”, ossia la classica e l’opera, destinata agli aristocratici e all’alta borghesia. Insomma, il jazz e il blues erano stili musicali nati in strada e suonati in strada o nelle locande afroamericane. Ed è proprio in un contesto del genere che bisogna ricercare la definizione di “standard jazz”, che viene pronunciata spesso durante le discussioni musicali. Ma che cosa significa?
Che cosa si intende per “standard jazz”, una definizione che emerge spesso nelle discussioni musicali
Non si tratta di uno dei mille sottogeneri di blues o di jazz nati nel corso dei decenni. No, assolutamente, indica soltanto una condizione precisa, ossia l’istantaneità. Che cos’è lo standard jazz e perché si definisce così? Bè, lo dice la parola stessa, si tratta di una canzone in voga, suonata live, dal vivo, ed è una definizione risalente alla prima metà del ‘900.
Nella prima metà del XX secoli, infatti, non erano molto diffusi gli stereo, i grammofoni, le radio e qualsiasi altro accessorio per ascoltare musica. All’epoca, infatti, era predominante la musica dal vivo. Se si voleva ascoltare la musica di un artista, lo si doveva andare a vedere esibirsi live in qualche locale, che spesso coincideva con le bettole dei sobborghi neri.
In questi locali, che oggi chiamiamo jazz club, i musicisti poveracci si riunivano per far ascoltare al pubblico i propri brani. Possiamo considerarli una specie di “locali da stand up Comedy”, dove, al posto dei comici, si alternavano sul palco musicisti in cerca di successo, o di qualche bicchiere di birra offerto dai proprietari dei bar.
Come si trasforma un brano jazz in un pezzo pop
Non si trattava di orchestre complesse o di brani composti e arrangiati alla perfezione, cosa che comunque era già rara all’epoca, ma perlopiù di musicisti sbandati, poveri o improvvisati, che tentavano la fortuna e che animavano le serate delle periferie di città. Questi musicisti, si esibivano l’uno dopo l’altro, sfidandosi di fronte al pubblico in sala.
Ognuno proponeva una canzone da suonare, oppure da cantare, e spesso si improvvisava. Inoltre, la cosa fondamentale, era quella di proporre canzoni famose, per impressionare e far cantare tutto il pubblico. Da questi momenti, nasce appunto lo standard jazz, ossia la proposizione di brani jazz diventati famosi, popolari e “pop” nell’immaginario collettivo.
Si tratta, dunque, di brani jazz considerati dei classici di un’epoca, che tutti conoscevano e tutti suonavano a modo proprio, personalizzandoli, per scaldare il pubblico. Naturalmente, si tratta di brani orecchiabili, facili da assimilare e da riconoscere.
Poi, a partire dagli anni ’40 e ’50, quando la musica entra nelle case delle persone, lo standard jazz viene abbracciato anche dagli artisti più famosi, da Frank Sinatra a Ella Fitzgerald, da Chet Baker a Charlie Parker, i quali si esibiscono in pezzi storici, composti da altri. Oggi, il repertorio standard jazz comprende anche dei classici del blues o del pop, arrangiati come fossero brani swing.