Nella mia collezione di dischi ho un bel po’ di quelle che mia madre ha sempre definito “stranezze che solo tu puoi apprezzare”. La più clamorosa è presumibilmente il famigerato Metal Machine Music di Lou Reed, seguito poi da da ANS, triplo album che i Coil registrarono utilizzando unicamente uno strumento fotoelettronico inventato in Russia a metà del XX secolo da Yevgeny Alexandrovich Murzin e progenitore dei moderni sintetizzatori.
Da un po’ di tempo sono in fissa con la kosmische musik – o krautrock che dir si voglia – prodotta in Germania tra la fine degli anni ’60 e la prima metà dei ’70. Quindi, giù di Amon Düül II, Can, Neu!, Ash Ra Tempel, Popol Vuh, Faust, Tangerine Dream, Cluster, La Düsseldorf e naturalmente Kraftwerk. Un lungo peregrinare per mercatini e negozi di dischi in Italia e all’estero. Molte preghiere in gloria di discografici indipendenti che nell’ultimo decennio, con genuina passione e a diverse latitudini, hanno recuperato e ristampato perle altrimenti perdute o proposte a prezzi proibitivi dai collezionisti. Ho perfino letto alcuni libri fondamentali sull’argomento, come Future Days: Krautrock and the Building of Modern Germany di David Stubbs o il bellissimo All Gates Open: The Story of Can firmato a quattro mani da Rob Young e Irmin Schmidt.
Città di riferimento: Colonia, Düsseldorf, Berlino, Francoforte, Monaco di Baviera. Fu una stagione particolarmente fertile durante la quale la combinazione di influenze differenti (psichedelia, free jazz, musica di compositori come Stockhausen, Cage, La Monte Young) produsse una miscela singolare, a sua volta destinata a lasciare un’impronta significativa sui lavori del periodo berlinese di Bowie, sul post-punk, l’elettronica e, ai giorni nostri, i percorsi di Julian Cope, Vibravoid, Anton Newcombe, Primal Scream e molti altri (si pensi all’operazione squisitamente filologica svolta da Thom Yorke per la colonna sonora del film Suspiria di Luca Guadagnino).
Nati nel 1973 dall’incontro tra due componenti dei Cluster (Hans-Joachim Roedelius e Dieter Moebius) e Michael Rother dei Neu!, gli Harmonia fecero base nella cittadina di Forst, nella Bassa Sassonia, dove costruirono un proprio studio di registrazione. Debuttarono discograficamente un anno dopo con le 8 tracce di Musik von Harmonia, opera che catturò l’attenzione di Brian Eno tanto da spingere il musicista inglese a definire il progetto dei colleghi “il più importante gruppo rock al mondo”. Endorsement mica da poco, ohibò! Questo disco, insieme al successivo Deluxe (1975, co-prodotto da Conny Plank); Tracks and Traces (inciso nel settembre del 1976 con Eno ma pubblicato solo nel 1997), più Live 1974 e Documents 1975 (rarità dal vivo e in studio emerse dagli archivi), è contenuto nel cofanetto Complete Works edito dall’etichetta Grönland Records fondata dal cantante e attore Herbert Grönemeyer (nel suo catalogo si trova l’imprescindibile ristampa in doppio vinile o doppio cd dei due lavori a nome David Sylvian & Holger Czukay).
Il box, accompagnato da un poster e un libretto di 36 pagine con foto e note esaustive della giornalista Geeta Dayal, ha avuto una tiratura di 2000 copie in vinile nel 2015, presto esaurita. Oltre tre ore d’ascolto, se la cosa non vi spaventa. Degli Harmonia c’è tutto, ed è sorprendente notare quanto il suono della band abbia avuto un peso specifico su molta musica venuta dopo: l’elettronica minimal, certo electro-pop (alcune soluzioni ritmiche che i più scafati non faticherebbero a rintracciare in Construction Time Again e Some Great Reward dei Depeche Mode); il dub più rarefatto e, certo, l’ambient valorizzata in primis da Brian Eno nei primi anni ’80.
La ricerca svolta da Rother, Roedelius e Moebius in appena tre anni di attività e con pochi mezzi a disposizione ha dell’incredibile: ciascuno di questi cinque dischi rappresenta una testimonianza esemplare del furore creativo della musica tedesca in quel periodo fecondo e in una nazione che stava esorcizzando attraverso l’arte i lati più oscuri del suo recente passato, le ferite che segnavano l’anima di genitori e figli della seconda guerra mondiale (in letteratura Heinrich Böll, nel cinema il movimento denominato Junger Deutscher Film, poi Herzog, Fassbinder, Margarethe von Trotta, Roger Fritz, Roland Klick).
“Pochi sanno che il nome ‘Harmonia’ era all’inizio uno scherzo”, scrive Geeta Dayal. Secondo la spiegazione fornita da Roedelius, in Germania è abbastanza comune chiamare un coro Harmonia. Lo scherzo nasceva dal fatto che ciascuno dei tre componenti del gruppo aveva gusti musicali sostanzialmente differenti ma un’attitudine comune agli altri: estremamente curiosi, liberi da schemi, felici di esplorare mondi sconosciuti applicando l’intuizione – prima ancora che la tecnica – al modo di approcciarsi agli strumenti.
La carica di immediatezza anarchica espressa da questi esperimenti è fuori da qualunque regola o logica di rock band e, al tempo stesso, rock allo stato puro. Al solito, Brian Eno l’aveva capito perfettamente prima di chiunque altro.