Il jazz ha percorso un lungo viaggio artistico che non è stato fermo nei confini degli USA, anzi, ha girato il mondo.
Normalmente quando parliamo di jazz ci riferiamo ad un genere musicale molto americano, soggetto alle logiche musicali e di società proprie dell’America del nord. Rimane innegabile che la sua nascita e la formazione del genere musicale sia originaria proprio per le strade di alcune grandi città statunitensi. Parte integrante di una cultura musicale originaria dello sfruttamento e di puro contrasto e libertà fra classi sociali discriminate. Un tema comune negli Stati Uniti ma non in tutto il mondo, cosa che però non ha fermato la sua espressione all’estero.
Non analizzeremo, ora, tutte le sfaccettature del jazz nei vari paesi del mondo, ma ci soffermeremo sul valore che ha avuto e ha ancora la nostra penisola in questa alta espressione musicale. Che il jazz non sia confinato oltre oceano è cosa ben nota, tanto che addirittura il nome deriva da una parola francese che voleva richiamare il “baccano“. Questo, però, non è un accadimento casuale, anzi, risulta essere normale, proprio date le fattezze stilistiche del genere musicale. In un mondo ancorato ai grandi cambiamenti della musica del tempo, che per noi oggi è musica classica, trova un genere che sporca, cerca e trasforma qualcosa che prima era volutamente calcolato e ordinato.
L’Italia, nel panorama jazz, non è mai rimasta indietro, anzi, ha dimostrato sempre un interesse caratteristico che ha dato vita ad alcuni festival di caratura nazionale ed europea, come il Venezia jazz festival, il Pescara jazz e il Pistoia Blues, insieme al grande evento internazionale, punto di incontro di tanti musicisti jazz del mondo: l’Umbria Jazz Festaval. Tanti i musicisti di grande valore di oggi che possiamo annoverare nel nostro “annuario” nazionale del jazz, quali Enrico Rava, Stefano Bollani, Paolo Fresu, Greta Panettieri e Caterina Palazzi.
Ma nel passato, parlando di jazz se cercassimo alcuni italiani di valore nel panorama musicale? Sicuramente deve essere ricordato un nome in particolare, un italo americano che ha fatto la storia della musica jazz, uno di quei musicisti che senza di lui forse non avremmo il punto di inizio della musica jazz: Nick La Rocca. Questo nome non è uno dei tanti, ma il fondatore nel 1916 a New Orlenas della prima band jazz ad aver pubblicato il primo disco jazz della storia nel 1917, la Original Dixiland Jass Band. Un disco che porto il jazz oltre New Orleans, oltre i confini della città, incidendo pezzi del calibro di Livery Stable Blues e Tiger rag.
Ma siamo nel 1930 quando si formarono le prime vere band jazz italiane, come la Blue star o l’Orchestra italiana di Armando di Piramo. Quest’ultimo fu il primo a registrare la versione italiana di un pezzo molto importante quale Gigolò. Così Genova e Milano divennero i primi grandi centri della musica jazz d’Italia, il punto da cui tutto iniziò, dove si espanse fino a Roma negli anni ’40 e ’50. Un genere musicale che non riuscì a fermarsi nemmeno durante la dittatura e la guerra, continuando a crescere e assumere sempre più nome sul suo annuario. Tra questi ricordiamo il più iconico, dato il periodo storico, il quartogenito di Mussolini, Romano Mussolini. Ma si continua con i nomi, quali Lelio Luttazzi, Giorgio Gaslini, Franco Cerri, Bruno Martino e Natalino Otto.
Una storia che non si è mai allontanata definitivamente dalla nostra penisola, in un connaturarsi continuo fra cultura e musica, fra ricerca e curiosità, fino a nomi internazionali come Enrico Rava e festival come l’Umbria jazz Festival.
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