Il rock, nella sua lunga storia, ha dovuto fare i conti con numerosi ostacoli, la stessa sorte, decenni prima, è toccata al jazz: la censura del ventennio fascista.
La storia del rock è costellata da incredibili successi, l’esplosione di Elvis, che ha portato la musica nera ai bianchi, l’ascesa dei Beatles e dei Rolling Stones, le parole di Bob Dylan e Creedence durante la guerra del Vietnam. Ma il rock è stato protagonista anche di storiche rivoluzioni, come i leggendari concerti di Woodstock e il Live Aid, le vendite milionarie, la fusione del rock ’n’ roll con il blues.
Eppure, il rock è stato sempre ostacolato, e ha dovuto affrontare numerosi ostacoli, sin dalla sua genesi. Se negli anni ’50 era visto come un genere troppo sregolato, selvaggio, istintivo, e veniva inteso come una minaccia per la comunità, negli anni ’70 era associato all’abuso di alcool e droghe, per poi essere tacciato di satanismo negli anni ’80, con l’ascesa dell’heavy metal (così come lo era il blues, la musica del diavolo).
La censura del jazz all’epoca del regime fascista
Una storia che fa riflettere, che ha dato vita a numerose leggende e a numerosi stereotipi. La società, specie quella bigotta americana di una volta, ha sempre visto il rock come pericoloso. Ma perché era pericoloso? Perché aveva un potere rivoluzionario incredibilmente audace, capace di risvegliare le coscienze dei ragazzi.
Ciò ha sempre sottolineato l’immane potere dell’arte, in questo caso della musica, un potere che oggi è stato distrutto dall’avvento dello streaming, della musica liquida, inconsistente, innocua (se non vendi copie fisiche, quelle vere, non hai potere comunicativo, visto che visualizzazioni e like non contano assolutamente nulla), e dai talent show, che umiliano l’arte, rendendola un fenomeno da baraccone destinato a bambini di 12 anni.
Il messaggio veicolato dal rock, così come quello del punk o dell’hip hop, ha sempre spaventato. Stessa sorte è toccata al blues, e prima ancora al jazz. Quest’ultimo, ad esempio, all’epoca del ventennio fascista era censurato, perché veniva visto come espressione di libertà e di rivolta. L’Italia di Mussolini aveva paura del dilagare della musica straniera, troppo moderna.
La paura delle mode straniere: il jazz era il nemico
I fascisti avevano preso di mira il jazz per due motivi, il primo perché era musica troppo libera, che induceva al ballo e comportava una certa foga, il secondo motivo era legato all’origine della jazz, insieme al blues, e cioè era musica nera, e non andava bene per un popolo bianco. Eppure, il jazz si era fatto largo grazie al film americani degli anni ’10 e ’20, che presentavano colonne sono ragtime.
Negli anni ’10, numerosi musicisti italiani avevano iniziato a suonare jazz con le proprie orchestre, ma tutto ciò era in contrasto con la mentalità fascista. Il regime, a un certo punto, aveva iniziato a proporre addirittura una versione italiana di jazz, chiamata “gez”. Nel 1938 si era giunti al culmine dell’intolleranza.
Con l’emanazione delle leggi razziali, nel 1938, i fascisti aveva fatto chiudere numerosi locali dove la gente andava a ballare e a distrarsi. Il jazz era diventato il nemico da combattere, la musica americana era vista come un pericolo per tutti i cittadini, e per ovviare il problema i musicisti traducevano titoli e testi (quando presenti) dei brani americani, e li eseguivano in italiano, facendola franca in questo modo così semplice.
Il fascismo ha provato a ostacolare ogni forma d’arte di origine straniera, fallendo, poiché l’arte, ossia espressione umana, non si può reprime, non si può domare e ingabbiare. Il jazz, alla fine, ha trionfato, e così, decenni più tardi faranno il blues, il rock, e tutti questi generi inizialmente considerati scomodi.