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Musica

The Division Bell, la vera storia dell’ultimo album in studio dei Pink Floyd

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Anna Peluso

Il 28 marzo del 1994 usciva in Inghilterra The Division Bell, l’ultimo album in studio dei Pink Floyd. Un disco con la collaborazione di Hawking e una copertina indimenticabile.

La copertina di Division Bell dei Pink Floyd (Blueshouse.it)

Era il 28 marzo del 1994 quando la band di David Gilmour, Richard Wright e Nick Mason pubblicava The Division Bell, un album iconico se non altro perché rappresenta l’ultimo lavoro in studio della rock band britannica.

Undici le tracce contenute nel disco che ha debuttato direttamente nella prima posizione delle classifiche di vendita in ben 4 Paesi: Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda e riuscendo a mantenere la vetta per quattro settimane, senza contare le altre prime posizione ottenute e mantenute in altre 6 nazioni. Sono invece 12 i milioni di copie venduti. Sono questi i numeri di un album indimenticabile sotto diversi punti di vista: per la collaborazione con Stephen Hawking, per la copertina entrata di prepotenza nell’immaginario culturale e musicale mondiale e per la presenza anche dell’unico brano che ha permesso ai Pink Floyd di ottenere un Grammy award per Marooned.

The Division Bell, l’album registrato in barca e il cui titolo è nato durante una cena

Le installazioni utilizzate per la copertina in mostra alla Pink Floyd: Their Mortal Remains (Blueshouse.it)

La genesi dell’album l’ha raccontata nel tempo lo stesso David Gilmour che, insieme alla moglie Polly Samons, ha scritto la maggior parte dei brani contenuti nel disco. The Division Bell è stato registrato in due studi di registrazione diversi; da una parte gli Astoria, fatti costruire dallo stesso chitarrista all’interno di una imbarcazione ormeggiata sulle rive del Tamigi, e poi ai Britannia Row.

All’epoca della pubblicazione, Gilmour riferendosi alla genesi dell’album disse: “Tutti e tre andammo agli studi di Britannia Row e improvvisammo per due settimane. Suonare insieme e ripartire da zero è stato interessante ed emozionante, ha dato il via all’album e il processo di composizione è stato buono, collaborativo e sentito, molto più coeso“. Del resto questi sono i Pink Floyd degli anni Novanta così diversi dalla rock band di vent’anni prima che aveva segnato la storia del rock e della musica in generale.

Per quanto riguarda, invece, l’iconica copertina, la band si rivolse Storm Thorgenson fotografo e storico collaboratore del gruppo, il quale per la realizzazione si ispirò alla copertina del libro del matematico Norbert Weiner, The Human Use of Human Being del 1950. Fece quindi costruire i due famosi volti metallici installati in un campo non lontano dall’abazia di Ely che si può poi intravedere sullo sfondo dell’immagine. Quelle due statue sono oggi esposte alla Rock and Roll Hall of Fame di Cleveland.

Il titolo dell’album poi non doveva essere questo. La band aveva come opzioni Pow Wow e Down to Eatrh; è stato lo scrittore Douglas Adams, durante una cena, a proporre The Division Bell prendendo ispirazione da una frase scritta da Polly Samson in High Hopes. Canzone questa che David Gilmour ha definito come la più bella mai scritta dai Pink Floyd.

La collaborazione con Stephen Hawking e The Endless Rivers

In The Division Bell sono contenute tracce A Gret Day For Freedom, High Hopes appunto ma anche Keep Talking che segna la prima delle due collaborazioni della band con l’astrofisico Stephen Hawking. Lo scienziato appare nella canzone attraverso una registrazione telefonica realizzata con il sintetizzatore vocale sviluppato da Intel e che è stato l’unico strumento che ha permesso al genio britannico di potersi esprimere a parole.

L’altra collaborazione risale Talkin’ Hawking tratto da The Endless River album uscito nel 2014 e che, a detta di Polly Samson, rappresenta una sorta di continuazione di The Division Bell. L’album contiene, infatti, una serie di sessioni rivisitate realizzate nel 1994 per l’album e mai pubblicate.

Anna Peluso

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