C’era una volta il suono di New York: era sporco, malato, pericoloso come una passeggiata notturna per le strade del Bronx.
Venne fuori nell’ultimo scorcio dei ’70, quando sul palco del CBGB, nel Lower East Side di Manhattan, cominciarono ad esibirsi Ramones, Television, Patti Smith Group, Mink DeVille, Lydia Lunch, James Chance, più una schiera di altri artisti che avrebbero lasciato un segno del loro passaggio all’interno di una florida scena culturale che includeva astri nascenti della pittura (Jean-Michel Basquiat, Keith Haring), del cinema (Abel Ferrara), della fotografia (Richard Kern).
Elettricità e frustrazione. Ritmi sbilenchi e contaminazioni tra punk, disco, funk, elettronica. A quel suono, a quell’immaginario, si rifanno Jared Artaud e Brian MacFadyen, meglio noti sotto la sigla The Vacant Lots. Il progetto ha avuto origine circa dieci anni fa a Burlington, Vermont e finora ha prodotto tre album (Departure, uscito nel 2014; Endless Night, del 2017; Interzone, pubblicato nel 2020), più una dozzina tra singoli ed Ep su Mexican Summer e Reverberation Appreciation Society. Nel loro background culturale si avvertono le influenze dello scrittore William S. Burroughs, di Lou Reed e John Cale, dei Silver Apples come del krautrock più minimale (Neu!, Cluster e Harmonia). Fatto interessante: fin dai suoi primi passi, il duo è riuscito a imbastire collaborazioni con personaggi di tutto rispetto quali Peter Kember (a.k.a. Sonic Boom, ex componente degli Spacemen 3), Alan Vega dei Suicide, Anton Newcombe. Proprio all’esperienza con quest’ultimo – motore dei Brian Jonestown Massacre, geniale artefice di splendidi progetti in compagnia di Tess Parks, Emmanuelle Seigner, The Limiñanas – è legata un’uscita come Damage Control, lavoro che raccoglie i due Ep Berlin ed Exit pubblicati in origine dalla A Records di Newcombe rispettivamente nel 2016 e nel 2019 ed oggi riproposti in unico formato (cd o doppio vinile 12”) dall’etichetta londinese Fuzz Club.
Le otto tracce del disco sono il risultato delle registrazioni tenute dalla band presso il Cobra Studio di Berlino, con la produzione del titolare Newcombe (che ci mette anche chitarra e voce qui e là). Si parte con Bells, un fiume in piena che non avrebbe sfigurato su Don’t get lost dei BJM: stesso tiro psych, riverberi aperti, corrente che soffia odori del sottosuolo metropolitano per tutti i 5’ e 37” del pezzo. Silence è la canzone che i The Strokes avrebbero potuto scrivere se solo fossero riusciti a sciacquare la loro aria da fighetti nelle acque limacciose dell’Hudson. Disordered vision è una cartolina garage-motorik spedita con amore e rispetto ai Jesus & Mary Chain, mentre i quasi 8′ di Funeral Party sono un flusso poetico decadente e tutto virato al nero, la sceneggiatura perfetta per un film su una notte allucinata tra vicoli ciechi, sedimenti di spazzatura secolare, taccheggiatori col distintivo della Polizia del Sogno e lemuri in tight che vengono fuori dai tombini. Promise me gira su uno stomp che evoca lo spirito tarantolato di Lux Interior: datemi una clava e vi mostrerò il cavernicolo che è in me! Verschwinden sfoggia un duetto con la voce aliena di Astrid Carter: lo ascolti e non puoi evitare la caduta libera in un trip apparentemente infinito che neanche sei tazze di caffè bollente e un’intera confezione di bicarbonato riusciranno ad annullare.
Il resto del piatto non è da meno, perfino quando in Land MacFadyen e il suo socio Artaud pescano con profitto nelle sacre acque estatiche degli Spacemen 3. Non una nota fuori posto, mai un momento di stanca: la migliore prova fin qui incisa dai Vacant Lots.
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