Che anno era, Maestro? Il tempo è un’invenzione umana, lo so, una misura affidata ai fenjaan dell’antica Persia, alle clessidre, agli orologi da polso e a quelli a cucù. Sarà stato sicuramente un po’ prima del botto sorprendente de La Voce del Padrone, almeno così mi pare.
Sarà accaduto di notte, quando avevo l’abitudine di addormentarmi con la radiolina transistor accesa sotto le coperte e un libro di Emilio Salgari sul comodino, sognando di viaggiare in terre di pirati, fachiri, tigri sacre cavalcate dalla dea guerriera Durga. Insomma, una di quelle notti mi capitò di ascoltare un lungo brano dal titolo Goutez et Comparez. Era strano, Maestro. Parecchio. Apparteneva – ma l’avrei scoperto più tardi – a un album dal titolo M.elle le “Gladiator”, e a quel periodo fecondo di febbrile ricerca che per te aveva avuto inizio all’alba degli anni ’70.
Che età, quella! In Germania c’erano i Can, i Faust, i Popol Vuh, in Italia c’eri tu, poi gli Area, il primo Alan Sorrenti, le etichette come la Bla Bla di Pino Massara o la Cramps Records guidata dal geniaccio Gianni Sassi (l’uomo che ti mise su un manifesto a fare la réclame di un divano Busnelli con la faccia pittata di bianco e la frase “Che c’è da guardare?”).
Questo è il mio ricordo. È in quel momento che cominciai a interessarmi con passione alla tua musica, al tuo pensiero. Mi hai accompagnato da Stockhausen, Georges Ivanovič Gurdjieff, Aldous Huxley e sulle tracce dei sufi, di un mistero più grande di tutti i misteri visibili su questo pianeta. Un viaggio ricco di scoperte che continua ancora, non è finito, non finirà.
Te lo stanno dicendo in tanti: grazie di tutto. Per una volta è bello, sacrosanto unirsi al coro, agli applausi, alla riconoscenza e alla commozione generale.
Ciao, Maestro.