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Concerti e pandemia: si può fare?

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Redazione

Alcuni esperimenti in Spagna e Olanda dicono che almeno ci si può provare, in sicurezza.

Sul podio delle cose che ci mancano di più in questo infinito anno di pandemia ci sono senza alcun dubbio i concerti. Ci chiediamo tutti quando potranno tornare e interrompere questa pena che affligge a vari livelli tutti: pubblico, artisti, organizzatori, operatori.

In Italia ad oggi sull’argomento si assiste a un sostanziale silenzio istituzionale, nonostante i tanti tavoli di lavoro aperti e le tante iniziative di sensibilizzazione organizzate dai lavoratori dello spettacolo raggruppati in diverse sigle e movimenti; penso ai Bauli in Piazza o al gran lavoro che tentano di fare aggregatori come La Musica Che Gira, Keep On, come l’evento di #UltimoConcerto di cui si è già parlato su queste pagine. Nemmeno il Festival di Sanremo, l’evento musicale più mediatico che ci sia, è riuscito a smuovere granché, riservando alcuni sparuti momenti alla denuncia della situazione sempre più precaria di tanti lavoratori e offrendo anche ben poco per alimentare l’effetto “nostalgia” da spettacolo dal vivo.

E all’estero invece come va? Escludendo per evidenti differenze di condizioni le scene a cui assistiamo in paesi come Australia o Nuova Zelanda, dove l’isolamento sta favorendo un ritorno alla vita covid-free, concerti sold out inclusi, o l’atteggiamento variegato che vediamo negli Stati Uniti, concentriamoci sulla vicina Europa. Come ahinoi spesso capita sull’argomento “musica”, nel Vecchio Continente si viaggia a velocità decisamente diverse. In diversi paesi gli esperimenti sulla possibilità di tenere concerti più o meno grandi senza che si creino nuovi focolai infettivi si susseguono, con un’evidente grande interconnessione tra promotori, istituzioni sanitarie, politica.

L’importanza della musica, del teatro, del cinema come cura per l’anima è ben evidenziata e i momenti aggregativi come concerti e festival vengono da sempre visti come esperienze formative e occasioni di lavoro e turismo, e non solo come mero intrattenimento. La musica fa parte dell’agenda politica, come dimostrato dalle parole spese da Boris Johnson a proposito della necessità di far ripartire il prima possibile il settore dei concerti live, con le accortezze del caso. Siamo lontani anni luce dalle proposte di “Netflix della cultura” dei ministri italiani, insomma.

E quindi, in attesa che qualcosa si smuova anche qui, non ci resta che lanciare uno sguardo ad alcuni esempi concreti che ci fanno ben sperare in una ripresa del settore che non debba necessariamente attendere la fine della pandemia, che ad oggi non può avere ancora una data prevedibile con un buon grado di certezza.

Il “caso” di cui negli ultimi giorni si è parlato di più è il concerto dei catalani Love of Lesbian al Palau de Sant Jordi di Barcellona davanti a 5.000 spettatori nell’ambito di “Cultura Segura”, un progetto patrocinato da enti pubblici, promoter e sponsor. Le immagini del concerto, fatta eccezione per la mascherina FFP2 obbligatoria per tutto il pubblico, sembravano prese da tempi pre-pandemia, con il palazzetto pieno di una folla esultante davanti a un classico concerto rock, senza distanziamento. Una boccata di ossigeno per chi non vede l’ora di fare la stessa esperienza il prima possibile, con qualche dettaglio importante di cui tenere conto: per assistere al concerto gli spettatori sono stati sottoposti a un tampone antigenico (incluso nel prezzo del biglietto) prima di accedere al palazzetto e si potevano consumare cibi e bevande solo in un’area apposita. Sacrifici che tutto sommato possiamo immaginare di sopportare senza troppi problemi, vista la situazione attuale.

Il concerto di Barcellona va in continuità con l’esempio di dicembre scorso tenuto all’Apolo Club, aperto per una sera con gli stessi accorgimenti per un live con circa 500 spettatori, tutti dotati di test e mascherina e non distanziati. I risultati di quel primo esperimento furono incoraggianti: nessun caso di covid nei controlli post-evento. Ora si attendono con ansia e speranza i risultati del secondo raduno, decisamente più numeroso, che potrebbero dimostrare che la cultura, con le precauzioni del caso, non è più pericolosa di tante altre attività umane che vengono portate avanti ugualmente in piena pandemia.

Altra nazione che mostra di aver approfondito la questione è l’Olanda, dove, accanto a un atteggiamento generale nei confronti della pandemia non sempre condivisibile, si lavora per rendere gli spettacoli fruibili già quest’anno, senza dover rimandare tutto al 2022. L’esperimento più grosso in ambito musicale si è svolto a Biddinghuizen, il villaggio vicino Amsterdam che solitamente ospita il Lowlands, con una due giorni di musica elettronica con 1500 spettatori non distanziati, tutti con tampone negativo da mostrare per potervi accedere.

Ed è notizia di ieri, nonostante la scelta infausta della data dell’annuncio, 1° aprile, che la prossima edizione dell’Eurovision Song Contest di maggio 2021 a Rotterdam si terrà con pubblico in presenza. Un dettaglio non da poco per lo svolgimento di un evento nazionalpopolare, che ci rimanda alle tante polemiche delle settimane che hanno preceduto Sanremo, che non hanno portato praticamente a nulla.

Sapremo presto se si sarà trattato di azzardi o di eventi rassicuranti. Da operatori o semplici appassionati quali siamo, restiamo qui, seduti sui nostri divani, ad aspettare i risultati sperando siano, per una volta nel senso giusto del termine, positivi.

Redazione

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