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Personaggi

Skip James: la storia e la vita di uno dei più grandi bluesman americani

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Anna Peluso

Uno dei pionieri nonché originali, drammatici e moderni bluesman della scena musicale americana. Nehemiah Curtis James in arte Skip James.

Skip James durante un’esibizione (Blueshouse.it)

Battezzato Nehemiah, in memoria del coppiere dello shah di Persia che fece ricostruire le mura di Gerusalemme in 52 giorni, Skip Curtis è nato vicino Betonia nel 1902. Siamo sulle rive del fiume Mississippi, la cui storia si intreccia e si ritrova più volte nella e per la nascita del blues.

Città differenti, percorsi di vita differenti ed una sola cosa in comune, quel fiume lungo le cui sponde per secoli gli schiavizzati neri d’America trascorrevano le giornate a lavorare la terra e innalzare canti di disperazione e sofferenza, dal sentimento blues ovvero di distretta. Anche la storia di Skip Curtis, per quanto le informazioni siano poche e contradditorie, parte dalle sponde di questo lunghissimo fiume che attraversa sei degli Stati Uniti, unendo nord e sud del Paese.

Leggenda vuole che Skip abbia fatto una miriade diversi di lavori per sopravvivere: operaio edile, mazzaro e fu anche moonshine ovvero un produttore e contrabbandiere di alcol negli anni del proibizionismo. Ma fin da piccolo aveva mostrato le due doti musicali con una forte capacità di interpretare e suonare. Dopo gli anni neri della vita illegale (pare che girasse con una rivoltella e abbia ucciso un uomo, ndr), all’inizio degli anni Trenta vince un concorso musicale. Il premio è importantissimo un contratto con la Paramount Record e un biglietto del treno per Grafton dove si trovava lo sgangherato studio di registrazione.

Da questo momento in avanti ha inizio quel percorso che poterà Skip James ad essere quel mitologico bluesman che gli appassionati conoscono.

Mito e leggenda di Skip James, tra i più criptici dei bluesman americani

Un ritratto di Skip James (Blueshouse.it)

La ricostruzione dei pezzi di vita di Skip sono frammentari perché derivano dall’insieme di racconti di persone che hanno attraverso la sua vita. Per questo si parla per lo più di leggende che non hanno fatto altro che alimentare quell’alone di mistero e mitologia che avvolge la figura del bluesman.

Tornando a Grafton e alla Paramount Records, pare che proprio qui Skip James abbia inventato la tecnica del three-fingher-picking ovvero quella di suonare la chitarra pizzicando le corde con 3 dita. Quel contratto portò alla registrazione di 10 brani realizzati in una sola sessione. Una notte, manco a dirlo, diventata anche quella leggenda. Brani come Devil got my woman o Cherry bell blues furono registrati chitarra e voce o piano e voce, strumenti che padroneggiava egualmente.

 Il lavoro gli fu pagato appena 40 dollari, ma Skip torna a casa contento sognando la fama. Purtroppo quelli sono gli anni della grave crisi economica del ’29 che colpisce anche la discografia e Skip non riesce ad arrivare al successo come avrebbe voluto.

Così abbandona il blues e si dà all’alcol. La musica non la abbandona però anzi viene messo a capo del coro della chiesa del padre e dopo poco decide di diventare un pastore metodista. La verità però è che il mito si era già creato, ma lui non lo sapeva.

Il cancro, la cura e gli album finali

Per 30 anni circa Skip non ha suonato, ma negli anni Sessanta, sull’onda di quel revival del blues, lui è stato uno di quei cantanti pescati dal cilindro e rimessi sulla scena. James si esibisce nel 1964 al Festival Folk di Newport suonando come se non avesse mai smesso, ma era malato e doveva essere operato.

I Cream reincidono la sua I’m so glad e il ricavato permette a Skip di avere i soldi necessari all’operazione.

 L’operazione gli permette di vivere per altri 3 anni durante i quali ha registrato 2 album, decidendo anche di riregistrare i suoi primi pezzi, sempre in quel falsetto che l’ha contraddistinto. Un lamento che nn era solo sinonimo di sofferenza individuale, ma collettiva affrontando tempi come la guerra in Vietnam o l’impegno civile contro il razzismo.

Skip James muore nel 1969 con un sogno che si realizzava: aveva raggiunto la fama, ma ancor più era diventato un bluesman fonte di ispirazione per le generazioni successive.

Anna Peluso

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