Il nuovo album dei Godspeed You! Black Emperor arriva – con una bella copertina ad opera di William Schmieche – a quattro anni di distanza dal precedente Luciferian Towers.
Settima uscita ufficiale sulla lunga distanza per il collettivo canadese in 27 anni di onorata attività, si presenta con un comunicato in cui si legge:
“Abbiamo acceso di nuovo le radio a onde corte, per la prima volta da molto tempo. E abbiamo scoperto che molte cose erano cambiate. I pastori dell’apocalisse erano ancora lì, ma urlavano LA FINE DEI TEMPI ADESSO dove una volta urlavano ‘la fine dei tempi presto’. E i detriti di trasmissione degli eserciti automatizzati occupano più larghezza di banda adesso, così che molte frequenze siano solo impulsi di elettricità statica bianca crescente, codici digitali che annunciano lo stato di varie macchine che guardano e uccidono.”
Prodotto da Jace Lasek, composto in parte prima della pandemia globale, registrato in due settimane nell’ottobre del 2020 “con le mascherine, distanziati all’inizio della seconda ondata”, G_d’s Pee AT STATE’S END! contiene quattro tracce (due delle quali intorno ai 20’ di durata) e non sposta di un millimetro l’orizzonte sonoro del gruppo: li ami o li detesti, non ci sono mezze misure. Li ami perché sono anarchici, fuori da tutto, inimitabili. La stessa etichetta “post-rock” si adatta male alla loro musica: se il rock (pre o post) è un cliché, un insieme di modelli-stampi, un vecchio animale selvatico all’interno di una riserva, i GY!BE sono la belva che abbatte la staccionata, l’evento che scompagina le regole.
La lunga suite A Military Alphabet (five eyes all blind) (4521.0kHz 6730.0kHz 4109.09kHz) apre il sipario con rumori e voci campionati da segnali radio e una chitarra distorta che lentamente fa spazio a un incedere ritmico in cui l’ensemble fa splendere il suo marchio di fabbrica: se chiudi gli occhi, la mente proietta un film girato con una chitarra al posto della macchina da presa. Un survival movie che rispecchia deleuzianamente il movimento dell’anima, un po’ come 28 Giorni Dopo, l’horror di Danny Boyle uscito nel 2002 che, guarda caso, sfruttava la potenza della loro East Hastings per dare maggior risalto a sequenze drammatiche ambientate in un mondo devastato da una tremenda pestilenza. Ancora dal comunicato stampa: “this record is about all of us waiting for the end”. Fine di una società anacronisticamente ingorda, scheggiata, frustrata, satura di scorie tossiche; prospettiva di un nuovo inizio (“this record is about all of us waiting for the beginning”).
Si avanza in una valle desertica (il suono è stoner), con granelli di polvere e sole accecante negli occhi. Rigorosa, epica, più dolce quando lascia entrare il violino di Sophie Trudeau, la suite sfuma in un morbido riverbero e lascia il posto alla rarefatta Fire at Static Valley, brano che non sfigurerebbe su un lavoro dei Mogwai. Un po’ più in alto (complice il lavoro di Aidan Girt e Timothy Herzog alla batteria) punta la seconda suite “GOVERNMENT CAME” (9980.0kHz 3617.1kHz 4521.0 kHz), vero centro nevralgico del disco, prova dell’immenso potenziale del gruppo quando si tratta di alternare rumorismo e melodia. Chiude pacificamente OUR SIDE HAS TO WIN (for D.H.), traccia che sembra rivendicare un futuro migliore del presente in cui stiamo vivendo; pastorale post-apocalittica che prende per mano l’ascoltatore e lo conduce tra le nuvole. È un dislocamento, un passaggio cromatico dal grigio all’azzurro, dalla fossa alla volta celeste. Se chiudi gli occhi, il latte del cielo ti viene incontro, apre la vista interiore a una natura incontaminata e ti sembra di sentire l’odore di un bosco a primavera. Un certo tipo di musica può fare questo effetto.
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