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John Carpenter: Lost Themes III – Alive after Death (Sacred Bones)

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Redazione

John Carpenter ha una seconda vita. Nella prima, a cavallo tra gli anni ’70-’80, si è affermato tra i grandi nomi della storia del cinema con pellicole quali Distretto 13 – Le brigate della morte; The Fog; La Cosa e, soprattutto, la fortunata saga di Halloween, inaugurata nel 1978.

Nella seconda, ufficialmente avviata nel 2015, il regista americano, classe 1948, ha scelto di dedicarsi prevalentemente alla sua più grande passione dopo la macchina da presa, ovvero la musica. Quella musica già esplorata nella doppia veste di cineasta e compositore (ha firmato quasi tutte le colonne sonore per i suoi film, all’inizio utilizzando un synth EMS VCS3) e che oggi giunge al terzo album di inediti a suo nome dopo Lost Themes (2015) e Lost Themes II (2016). Alla maniera dei i suoi predecessori, Lost Themes III – Alive after Death è un disco strumentale pensato – per usare le parole del suo autore – come “una soundtrack per i film nella tua mente”.

Ecco allora le nuove tracce registrate insieme al figlio Cody e a Daniel Davies (suo padre è Dave Davies dei Kinks), collaboratori con i quali aveva anche cominciato ad esibirsi dal vivo con successo di pubblico e critica prima della pandemia globale. Dieci brani in cui sono le tastiere a dominare un immaginario da un lato legato a filo doppio alle immagini in movimento, dall’altro animato da scorie di un’elettronica vintage: kosmische musik alla maniera di Edgar Froese e dei leggendari Tangerine Dream, ma anche echi di Kraftwerk e della disco music che parte dal genio di Giorgio Moroder e lambisce i territori della retromania dei Daft Punk dopo aver seminato a dovere nei territori techno di Chicago e Detroit, nella minimal più dark come in certe angolazioni della subliminal house.

Il risultato è un personale gotico metropolitano, un affascinante universo sonoro dove fanno capolino le ombre del serial killer immortale Michael Myers e di Kurt Russell nei panni di Snake Plissken, l’antieroe di 1997: Fuga da New York in missione suicida a Manhattan. Sono suggestioni, trame sorrette dal palpitare del sequencer (in Weeping ghost vengono in mente i Frankie Goes To Hollywood); fotogrammi di un film scritto/diretto/interpretato dall’ascoltatore. Lo senti in cuffia, con la luce soffusa o magari spenta e per quaranta minuti ti ritrovi su Marte, nella nebbia che avvolge San Antonio Bay, o davanti ai fari minacciosi di una Plymouth Fury del ’58 chiamata Christine.

Fantasmagorie in soggettiva, oggetti di un desiderio spudoratamente retrofuturista: si arriva alla fine del disco con Carpathian darkness e ti sembra di vedere Adrienne Barbeau in body di pizzo color vinaccia che sorride mentre ti punta contro una pistola. Applausi, prego.

A 73 anni, il John Carpenter musicista (e figlio di un insegnante di musica) ha ispirato  Kyle Dixon e Michael Stein, duo che sotto l’alias Survive ha realizzato lo score per la serie televisiva Stranger Things. Le rughe e i capelli bianchi sono una maschera sotto la quale si cela un teenager più lucido del vostro vicino di casa brufoloso che si balocca vanamente in cameretta con l’auto-tune.

 

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